Giovanni, unico fra gli evangelisti, nota che, oltre ai venditori, sono stati scacciati anche le pecore e i buoi.Il gesto compiuto da Gesù nel tempio è sorprendente. Da chi si era presentato “mite e umile di cuore”, nessuno si sarebbe aspettato una reazione simile, quasi scomposta. Perché si è comportato in questo modo? La spiegazione si trova nelle due frasi da lui pronunciate.La prima: “Portate via queste cose e non fate della casa del Padre mio un luogo di mercato”. Purificando il tempio dai mercanti, Gesù ha pronunciato la condanna, severa, inappellabile contro ogni commistione fra religione e denaro, fra culto al Signore e interessi economici. Per evitare pericolosi equivoci, Gesù ha ingiunto ai discepoli: “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date. Non procuratevi oro, né argento, né moneta di rame nelle vostre cinture, né bisaccia da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone, perché l’operaio ha diritto al suo nutrimento” (Mt 10,9-10).L’insegnamento più importante si trova, però, nella seconda frase: “Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere” (v. 19). Non si riferiva più al commercio e ai traffici indegni che si svolgevano in quel santuario, ma all’inaugurazione di un nuovo tempio; annunciava l’inizio di un nuovo culto. Chiarificatore è il commento dell’evangelista: “Egli parlava del tempio del suo corpo” (v. 21).I giudei erano convinti che Dio dimorasse nel santuario di Gerusalemme, dove accorrevano per offrirgli sacrifici. Gesù ha dichiarato che questa religione aveva ormai adempiuto la sua funzione.La drammatica scena dello squarciarsi del velo del tempio (Mt 27,51) avrebbe segnato la fine di tutti gli spazi sacri, di tutti i luoghi riservati all’incontro con Dio; sarebbe stata la solenne dichiarazione che era finito il tempo della separazione fra il sacro e il profano. Ovunque si trovi, chi è in comunione con Cristo è unito a Dio e può adorare il Padre.Il gesto di Gesù non equivale a una semplice correzione di abusi, ma è l’annuncio della scomparsa del tempio. L’incontro dell’uomo con Dio non sarebbe più avvenuto in un luogo particolare, ma in un nuovo tempio: il corpo di Cristo risorto.Risuscitando dai morti il proprio figlio, il Padre ha posto la pietra angolare del nuovo santuario. Pietro esorta i neo-battezzati delle sue comunità a unirsi a Cristo, “pietra viva, rigettata dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a Dio” e spiega: “Anche voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio” (1 Pt 2,4-5).Ora è chiaro: l’unico sacrificio gradito a Dio è il dono della vita, sono le opere di amore, il servizio generoso prestato all’uomo, specialmente al più povero, all’ammalato, all’emarginato, a colui che ha fame, a chi è nudo. Chi si china davanti al fratello per servirlo, compie un gesto sacerdotale: unito a Cristo, tempio di Dio, fa salire verso il cielo il profumo soave di un’offerta pura e santa.Che senso hanno allora le nostre solenni liturgie, i sacramenti, i canti, le processioni, i pellegrinaggi, le preghiere comunitarie, le pratiche devozionali?Non danno nulla a Dio, non aggiungono nulla alla sua gioia perfetta.Le manifetazioni religiose rispondono però a un intimo bisogno dell’uomo: celebrare, attraverso gesti e segni sensibili, da soli e in comunità, ciò in cui si crede. I sacramenti sono segni mediante i quali Dio comunica il suo Spirito e l’uomo gli manifesta la propria gratitudine per questo dono. L’errore è ritenere che l’esecuzione di riti basti a stabilire un buon rapporto con il Signore e che la partecipazione a solenni celebrazioni possa sostituire le opere concrete d’amore.(Fernando Armellini)